domenica 13 marzo 2011

Philadelphia here we come!

Ieri sono andata in gita con l’Ilaria: alle 9 di mattina abbiamo preso il nostro china-bus con partenza da Chinatown-New York ed arrivo a Chinatown-Philadelphia.
Abbiamo camminato per ore ed ore ed ore ininterrottamente, girando la città in lungo e in largo da brave turiste, il tutto all’insegna dell’idiozia più sfrenata… un successone!
E, gironzolando in questa che – in confronto a New York – sembra una cittadina mignon, abbiamo notato che Philadelphia è:
- la città dei murales. A quanto pare ce ne sono più di 3000… noi ne abbiamo visti molti meno, ma abbiamo camminato lungo il “mural mile”, ovvero un percorso di un miglio che tocca diversi murales spettacolari. Opere d’arte coloratissime dipinte (o spesso realizzate con un mix di pittura e mosaico) su pareti enormi, che lasciano a bocca aperta per la fantasia e la precisione con cui sono state realizzate e che veicolano messaggi sociali profondi. Tenete sempre gli occhi aperti, e lasciatevi stupire.
- la città dei mosaici. Altra cosa che lascia assolutamente a bocca aperta! Ci sono case completamente ricoperte di mosaici realizzati con pezzi di specchi e piastrelle… assolutamente stupende! E fra un disegno più o meno astratto e l’altro, sono inserite frasi e parole varie… non so nemmeno come spiegarlo, ma trovo che l’artista che le ha realizzate sia assolutamente geniale! Ad un certo punto abbiamo scovato una specie di “museo” di questo genere: in pratica hanno costruito una specie di labirinto tutto ricoperto di questo tipo di mosaico, con l’aggiunta anche di bottiglie, vasi, statuette, oggetti di ferro battuto, ruote di biciclette e oggetti vari ed eventuali (compresa la tazza di un wc). Noi abbiamo guardato solo da fuori, ma già così siamo rimaste totalmente affascinate! E siamo giunte alla conclusione che la nostra cara Ravenna, capitale del mosaico, dovrebbe modernizzarsi un po’ e far comparire questa sua evoluzione sulle proprie case!
- la città dei particolari. Dalle casette tutte colorate e tutte diverse una dall’altra, alle tante insegne “old style” che spuntano dalle costruzioni, ai segnali mai visti prima (tipo “In caso di incendio, portate in salvo il cane e il gatto”), alla statua di un bambino con un cane che regge il cartello di un parcheggio… insomma, vista da lontano potrebbe sembrare noiosa e piatta (anche in senso letterale: scordatevi i palazzi altissimi di NY), ma sono i particolari che fanno la differenza.
- la città delle bandiere. Ce n’è dappertutto e sinceramente non ho capito bene il motivo… danno colore anche loro, conferiscono un certo tono alla città, ma chissà perché ne mettono così tante, ovunque. Anche in strade di case apparentemente normali, si trovano ste sfilze di bandiere. Boh!
- la città della cheesesteak. Narra la leggenda che l’abbia inventata un venditore di hot dog, stufo di mangiare sempre e solo wurstel avvolti dal pane. Altro non è che uno sfilatino farcito di bistecca tagliata a striscioline e formaggio… a Philadelphia la troverete ovunque, ad ogni angolo (mentre gli hot dog sono stati aboliti). Nella zona sud della città c’è lo storico Pat’s - discendente di colui che ha inventato questo piatto - piazzato esattamente di fronte a Geno’s – l’altro colosso della cheesesteak. Il mio coinquilino mi ha consigliato di prendere un panino di qua, uno di là e poi di dividerceli per decidere quale fosse il migliore. Ma le cose sono andate diversamente: mentre eravamo in fila da Pat’s, indecise sul da farsi perché era un po’ troppo freddo per aver voglia di mangiare all’aperto, è entrata in gioco la concorrenza sleale sottoforma di un rasta nero, cameriere di un terzo locale, che si è avvicinato bel bello proponendo a tutti di assaggiare un sample della loro cheesesteak, al grido di “Il pane è lo stesso, è esattamente la stessa cosa ma la nostra carne è di qualità migliore!”. L’abbiamo assaggiata, era buona. Il suo locale aveva i tavoli al chiuso e sparava musica di Frank Sinatra nell’aria… la concorrenza sleale ha vinto e siamo entrate in questo pub frequentato da baldi giovani con la buzza da birra. Insomma, a parte ciò io ho mangiato questa cheesesteak che non è male ma non è neanche sto gran piatto paradisiaco. Però con Sinatra in sottofondo il mondo ti sorride a prescindere. E comunque, una volta uscite da lì abbiamo constatato che Geno’s batte Pat’s 1-0: la fila per le loro cheesesteak era decisamente più lunga!
- la città dell’Italian Market. Che poi è una via piena di negozi di prodotti italiani, soprattutto formaggi… provoloni enormi che pendono dal soffitto! Un tuffo nei profumi e nelle forme di casa, che fa bene allo spirito. A parte il fatto che ad un certo punto siamo inaspettatamente piombate in mezzo al puzzo di un negozio di pennuti (vivi) tutti stipati in gabbie… che ha un po’ rovinato l’atmosfera. Ah, poi pare che anche l’inventore della cheesesteak fosse di origine abruzzese. Insomma, noi italiani mettiamo il naso dappertutto come sempre! :D
- la città con le vie dai nomi Cip&Ciop-peschi. Tipo Chestnut (castagna) o Walnut (noce) street… quando torno a casa voglio rinominare la via dove abito e darle un nome del genere!
- la città senza dessert. Prese da un craving di cheesecake (la logica conseguenza alla cheesesteak) e dalla voglia di sederci un attimo per riposare i nostri piedi stanchi, abbiamo iniziato a pellegrinare da un locale all’altro aguzzando la vista in cerca di bakery, deli, o qualsiasi cosa potesse essere cheesecake-friendly. Niente. Abituate all'abbondanza di New York, siamo state prese da disperazione più totale: ma dico io, come cavolo è possibile che in tutti i locali ispezionati ci fosse un lunghissimo menu di cibi salati e NESSUN dessert??? Tristezza infinita… ci siamo dovute rinchiudere in un centro commerciale deprimente sperando che ci fosse una bakery. C’era, ma zero cheesecake e solo tanti dolci dai colori chimici. Allora ci siamo dovute accontentare di Starbucks, che però ci ha stupito: il frappuccino costa meno che a Manhattan, e ci hanno anche regalato dei dolci gratis! Tiè.
- la città dei Dunkin Donuts. A proposito di Starbucks, New York ne è tutto un fiorire… a Philly invece scarseggiano. In compenso, c’è un Dunkin Donuts ad ogni angolo di ogni strada!
- la città dei fiorelloni. Occhei che al momento c’è una mostra sui fiori (fra l’altro costosissima: sarà pure bella, ma 28$ sono un po’ eccessivi! Infatti col cavolo che ci siamo andate), ma da lì all’ilarità di vedere qualsiasi tipologia di persona con in mano un mega fiorellone di carta appeso in cima ad un bastoncino… ce ne passa! Il premio “portafiori più ridicolo dell’anno” lo vince un uomo visto al centro commerciale: era con moglie e figlia, entrambe comodamente sedute a mangiare un gelato con moooolta calma. E lui? In piedi, di fianco al tavolino, con la faccia contrita ed in mano questo fiorellone, tenuto bello dritto come se fosse un ombrello. L’ho anche immortalato, meritava.
- la città dei derelitti. Già in quel centro commerciale c’è venuta l’ansia perché eravamo circondate dalla tipica popolazione da Bronx… in più, per strada, ogni nanosecondo siamo state assalite da mendicanti più o meno distrutti che volevano i nostri soldi. Anche a New York ce ne sono, ma molti meno! E meno invadenti… insomma questa cosa ci ha un po’ inquietato, e siamo state felici di essere in due, soprattutto quando ha iniziato a scendere il buio.
- la città dei matrimoni pacchiani. Siamo andate a vedere la statua di Rocky, che si trova davanti al museo d’arte, un bellissimo palazzo simil-tempio in cima ad una scalinata, affacciato sulla città. Location perfetta per il book fotografico del matrimonio, abbiamo scoperto. Siamo state lì 10 minuti, ed abbiamo visto ben quattro matrimoni. Caratteristica comune: il kitsch. Spose opinabili, e colori e abiti degli invitati ancora di più: in un gruppo erano tutti neri e viola, in un altro sempre tendenti al nero macabro, nel terzo erano rossi scarlatti (con tanto di gilettini di raso improponibili) e l’ultimo gruppo era formato da giovani russe vestite da discoteca. Evviva la sobrietà!
- la città degli ubriachi verdi. A Philadelphia hanno evidentemente adottato un calendario a se stante: erano tutti convinti che St. Patrick fosse ieri. Strade e locali pullulanti di giovani vestiti di verde ed agghindati con tutti gli accessori “sanpatrizieschi”, incuranti del fatto che fosse il 12 marzo e non il 17. Fra l’altro, nonostante il freddo, erano tutti particolarmente spogliati: i ragazzi in maglietta, le ragazze scosciate. Sarà che da ubriachi la temperatura corporea sale… fatto sta che a furia di vedere così tanti simpatizzanti irlandesi in festa c’era venuta voglia di urlare a destra e a manca che avevano cannato di brutto la giornata!


Bene, direi che ho detto più o meno tutto quello che c’era da dire…
In sostanza: una gitarella a Philadelphia, se vi capita, fatela. A mio parere, un giorno è abbastanza, a meno che non teniate particolarmente a vedere i musei della città. In ogni caso, fateci un salto, vi resterà impressa. :)

1 commento:

  1. credo che il divertimento sia stato quello di esserci andate insieme e con la voglia di cazzeggiare, se no non mi sembra che tu abbia dato molti giudizi positivi!! un beso. momy

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